martedì 23 agosto 2011

Briciole di ricordi e di una storia che profuma di leggenda.



Com'è stata la vostra estate? Vi siete circondate di eventi mondani e scatenatissimi festini oppure avete optato per mete tranquille dove ritrovare voi stessi e la vostra pace interiore? Stranamente, le mie vacanze sono state bellissime. Dico "stranamente" perchè non sono mai del tutto soddisfatta delle mie estati. Faccio mille programmi, castelli in aria, progetti. E quando si arriva a toccare Settembre il bilancio che tiro non mi convince troppo.


Quest'anno però non è andata cosi. E' vero, non sono riuscita a far tutto ciò che mi ero prefissata, ma non mi sento affatto delusa. E' stata la mia prima estata slow, assaporata con lentezza e goduta fino all'ultimo centellinato istante. Quelle che state vedendo sono le immagini dei posti che ho visitato, della Bellezza che mi porto dentro, nel cuore.


Scillla, Chianalea, Mazara del Vallo. Incantevoli posti racchiusi nel cuore del Mediterraneo. E' proprio vero che non serve poi andare così lontano per trovare posti speciali, in grado di lasciare un'impronta dentro di noi.


Per chi ancora non la conoscesse vi lascio con la Leggenda del mito di Scilla. E vi invito a fare un salto nella mia accogliente e bellissima terra!

Già Glauco, l'abitante del mare di Eubea, s'era lasciato
alle spalle l'Etna, che al gigante Tifeo schiaccia la gola,
e la terra dei Ciclopi, che ignora l'uso del rastrello,
dell'aratro e nulla deve al lavoro dei buoi sotto il giogo.
E alle spalle s'era lasciato Zancle, le opposte mura di Reggio
e lo stretto che, chiuso tra due sponde, procura tanti naufragi
e segna il confine fra le terre d'Ausonia e di Sicilia.
Da lì, nuotando a grandi bracciate nelle acque del Tirreno,
Glauco arriva ai colli erbosi e al palazzo di Circe, la figlia
del Sole, gremito di bestie d'ogni specie.

 Appenala vede, rivolte e ricevute parole di saluto:
"O dea," le dice, "abbi pietà di un dio, ti prego: tu sei l'unica,
se ti sembro degno, che possa alleviare l'amore mio.
Quale potere abbiano le erbe, o figlia del Titano,
nessuno lo sa meglio di me, che da un'erba fui mutato.
Ma perché tu conosca la ragione della mia passione:
sulla sponda d'Italia, di fronte alle mura di Messina,
mi è apparsa Scilla. Mi vergogno troppo a riferirti le promesse,
le suppliche, le lusinghe e le parole mie: tutto ha disprezzato.
E tu, se qualche efficacia hanno gli incantesimi, pronuncia
un incantesimo magico; o se per vincerla è più adatta un'erba,
serviti di un'erba che abbia poteri di provato effetto.
Non ti chiedo di curare e sanare la ferita mia: non voglio
che tu me ne liberi, ma che Scilla bruci dello stesso fuoco".

E Circe (nessuna è più di lei portata a provare
questi ardori, o perché così è la sua natura o perché così vuole
Venere, offesa dalla denuncia che suo padre le fece)
gli risponde: "Meglio sarebbe che tu vagheggiassi chi ti vuole,
chi ha gli stessi desideri ed è presa da uguale passione.
Tu eri degno d'essere pregato, e potevi esserlo;
se mi concedi fiducia, credi a me, lo sarai.
E perché tu non abbia dubbi sul valore della tua bellezza,
ecco, io, benché sia una dea e figlia del Sole splendente,
benché sia tanto potente con erbe ed incantesimi,
io vorrei essere tua. Disprezza chi ti disprezza, dònati
a chi ti seconda, dando a due donne insieme ciò che meritano".

Circe lo tenta, ma Glauco risponde: "Fronde nasceranno in mare,
alghe sulla cima dei monti, prima che per Scilla
muti questo mio amore, finché lei vive".
La dea si sdegna e, non potendo nuocergli direttamente,
né lo vorrebbe, innamorata com'è, s'adira con la donna
che le è stata preferita. Offesa dal rifiuto del suo amore,
s'affretta a tritare erbe maligne dai succhi spaventosi
e nel tritarle le impregna di formule infernali.
Poi indossa un velo azzurro e, passando tra lo stuolo
servile delle sue fiere, esce dal palazzo.
Diretta a Reggio che sta dirimpetto agli scogli di Zancle,
s'inoltra sul mare che ribolle per le correnti,
posandovi i piedi sopra come se fosse terraferma,
e corre sul filo dell'acqua senza bagnarsi le piante.

C'era una piccola cala dai contorni sinuosi,
dove Scilla amava riposare per ripararsi
dalle burrasche o dalla canicola, quando al culmine del cielo
il sole a picco riduceva le ombre a un filo.
La dea la contamina inquinandola con veleni
pestiferi: vi sparge liquidi spremuti da radici
malefiche, mormorando, nove volte per tre, una cantilena
incantata, groviglio oscuro di misteriose parole.
Scilla arriva e non appena s'immerge con metà del corpo in acqua,
vede i suoi fianchi deformarsi in orribili mostri
ringhianti. Non potendo credere che quei cani appartengano
al suo corpo, tenta terrorizzata di schivarne e di respingerne
le fauci furiose. Ma anche quando fugge li trascina con sé
e quando cerca nel suo corpo cosce, stinchi e piedi,
al loro posto altro non trova che musi di Cerbero.
Si regge su cani rabbiosi e col ventre che sporge
sull'inguine mozzo, schiaccia, sotto, il dorso di quelle fiere.

Pianse Glauco che l'amava, sfuggendo agli amplessi di Circe,
che del potere delle erbe con troppo livore s'era servita

Le Metamorfosi, Ovidio

3 commenti:

  1. Ciao Noemi, bentornata! Bellissime queste immagini della Sicilia che ancora io non ho auto la fortuna di visitare!
    Ciao
    Roberta

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  2. ciao cara sono contenta x le tue ferie, una favola queste foto, ciao

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